December 9, 2018

Spento

Io credo.

Io credo in diverse cose, nell’importanza di diverse cose. Credo che la nostra natura sia essenzialmente quella di agenti di cambiamento, che vagano per il mondo e da questo si fanno influenzare. Che a loro volta processano il mondo attorno a loro e lo cambiano. Credo che sia nostro dovere tentare di essere la fonte di cambiamenti positivi. Che la nostra natura si esprima attraverso i cambiamenti che produciamo.

Per produrre questi cambiamenti dobbiamo processare il mondo attorno a noi, diventare parte di esso. Nel farlo lo assorbiamo, lo filtriamo. Siamo delle sorte di filtri per l’universo attorno a noi. Ecco, a volte questo filtro raccoglie troppe tossine, troppe esperienze, troppe delusioni, troppo malessere. A questo mio filtro ho chiesto di lavorare duramente, fin da quando era un bambino. L’ho messo alla prova. Gli ho domandato molto. Fino a che il molto è divenuto troppo, a quel modo che succede, per caso e per ingordigia. Per l’incapacità di arrestarsi.

Mi è capitato in passato, in poche determinate occasioni, di aver bisogno di sospendere l’attività, di lasciar riposare il filtro. Si trattava di sovraccarichi temporanei. Di dolori che richiedevano di staccare la spina un attimo. Lasciar scendere la temperatura. Ho poi ripreso ad usarlo, forse prima di quanto avrei dovuto. Questa volta però avverto una sensazione fondamentalmente differente. So che qualcosa si è esaurito. Ha concluso il suo naturale corso di vita. Ha filtrato, processato, provato a trasformare quanto gli veniva tirato addosso. Transformare gli avvenimenti in forza, seminare gentilezza e toni morbidi. Sostituire eventi discutibili con parole buone, scorrettezze con atti dettati dall’empatia. Ha fatto quel che doveva, quel che era legittimo chiedergli. Alla fine, semplicemente, si è spento. Armeggiare con l’interrutore questa volta non servirà.

Non provo alcuna rabbia. Quello che era giusto fare è stato fatto. Quello che era possibile fare è stato fatto. Quello che era doveroso provare a fare è stato tentato. Come avrebbe detto un uomo saggio, che conoscevo un tempo, semplicemente è andata così.

È come aver provato a spendere un’estate a risolvere un’equazione affidata come compito delle vacanze. Aver dedicato ogni mattina a tentativi nuovi. Essersi risvegliato con l’entusiasmo di provare nuove idee, nuovi approcci. Aver insistito. Aver chiesto consiglio e aiuto, coltivando l’umiltà. Alla fine l’equazione rimane così, invitta. Non scalfita dal nostro lavoro. L’estate però è finita, il tempo scaduto. Forse ci verrà rivelato un giorno se era l’equazione a essere sbagliata, insolubile. Magari un errore di stampa, uno sbaglio dovuto a una professoressa stanca. Forse invece semplicemente avremmo dovuto pensare in altro modo, studiare il problema da un’angolazione differente. Però l’autunno non tornerà ad essere estate, le foglie non risaliranno lungo i rami a prendere il loro posto. Il tempo delle equazioni è finito. Forse l’unica lezione da capire è che bisogna dedicarsi alla poesia. A osservare le possibilità latenti, le bellezze inattese, semplicemente la delicatezza struggente delle cose che sono state, che avrebbero potuto essere, e di quelle che mai avrebbero potuto, perché a volte semplicemente, siamo più bravi a credere ed essere di quanto sia appropriato per questo palcoscenico. Non è una resa, è un ultimo sorriso, un abbraccio al mondo. Un saluto pieno di malinconia, ma di una malinconia in fondo grata.

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