November 20, 2018

Sangue

Mi ricordo quando mi sono chinato su di te, ho preso le tue mani fra le mie e ti ho chiesto di avere fiducia, il tempo necessario a lavarti via il sangue dalle braccia, il tempo necessario che tu potessi guarire ed essere ciò che io vedevo in te.

Me lo ricordo perché poi io sono rimasto seduto su quella pozza, molto dopo che aveva smesso di rifletterti. Ho poi forzato un sorriso, ripensando a quanto il tuo passo fosse divenuto più leggero. Ho pensato fosse una cosa buona, e che forse avevo dato un momento d’attenzione a quel seme, ed ero corresponsabile del fatto che ci fosse un poco più di bellezza nel mondo.

Dopo un tempo infinitamente lungo mi sono alzato. Mi sono chiesto che colore avesse la mia pelle, protetta da incrostrazioni carminie. Ho creduto di trovare risposte in vicoli, e paure, e attese, e fughe lungo crinali ripidi, e rese, e sale da gioco, e tentativi alla buona. Alla fine avevo la bocca impastata, dubitavo perfino delle domande che ponevo, che mi ponevo. Ero convinto di aver avuto la risposta in tasca, eppure la ripetevo e sembrava non avere più senso.

Ho pensato che fosse necessario offrire un sacrificio, ma che non mi fossero più rimasti reni o polmoni, cose a cui potessi rinunciare. Mi tenni stretto il fegato, conclusi che andava bene così. Che io ero, a prescindere. Che la realtà è che io sono immortale ed invincibile, e questa è la mia condanna.

Avrei voluto essere capace di risposte più brevi e precise. Più nitide, di quelle che pur essendo incomplete, non ti danno lo spazio di dubitare. Io invece lo spazio lo dono e lo vivo. Ne rimane sempre abbastanza da spaurarsi, confondersi, perdere il davanti ed il dietro. Traccio percorsi di sangue, così, per non confondermi, trovare un equilibrio che non serve, se non ricordi più come cadere.

Mi gira ancora la testa, forse mi sono alzato troppo in fretta, forse sono salito troppo in alto, forse ho desiderato troppo.

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