December 3, 2012

Blog, viaggiare, tornare

Questo blog ha compiuto sette anni e io sono tornato dall’India e da Vienna. Ho grandi bagagli e sacchetti nelle mani, un cappello buffo, di quelli che in Italia non lo capiranno mica. Si riderà, ordinando una birra e pagandola più che in Germania, si continuerà a ridere bevendola e dimenticando l’orrido sapore della Kingfisher, che va per la maggior fra Chennai e Bangalore, dove la gente mica beve per piacere.

 

Torno, ospite ancora una volta di ÖBB. Torno e sarei rimasto. Mi accompagni al vagone, poi siedo, stupido e stanco per qualche minuto fino a che il treno se ne va. Per quest’anno non tornerò più a Vienna.

 

In India c’erano parecchi colori e la gente li mischiava a rendere tutto luminoso, intenso. I sapori anche erano intensi e mangiando con le mani li avvertivi di più. Gli odori erano forti e quelli gradevoli si alternavano a quelli sgradevoli in un gioco di disequilibri che trova un senso solo dove tutto è semplice e complicato, dove c’è una gran fiumana di gente e i cani attraversano la strada fra i clacson e le mucche parcheggiate, dove le scimmie rubano sacchetti e si arrampicano sui tetti, i Tuc-Tuc della Piaggio trasportano miriadi di volti e si incalano in percorsi irregolari, le moto sfrecciano, i caschi sono taboo e la gente si protegge dal freddo con dei paraorecchie. Ho visto un camion in un fosso una notte, una persona seduta di fianco e un fuoco, non perché facesse freddo ma per gli animali. Ho visto la luna che sembra essere più in alto a questa latitudine, l’ho vista sventolare invaghita del proprio riflesso, sull’oceano indiano. Un tempio poco lontano.

 

Sono andato e sono tornato, perché si fa sempre così.

 

Passiamo forse la Vita a preparare un grande ritorno, di quelli da fare in grande stile. Tornare all’immagine di noi stessi, a esserci fedeli.

Credo ci siano parti di noi che possono rimanere sotto traccia a lungo ma che prima o poi tentano di riemergere, per impedire che soffochiamo. Talvolta se noi le ignoriamo le possiamo scorgere specchiate negli occhi di amici di lunga data oppure cadere dalla bocca di persone che hanno quella scintilla in più. Così viaggiamo e se lungo la strada, capita di migliorarsi, di raccogliere cose buone, c’è sempre un idolo in fondo al cuore a cui dobbiamo rendere omaggio. Quella che, in qualche modo, è la nostra natura. Perché chi siamo è una sentenza, inappellabile.

 

Al tempo stesso ci sono cose che voglio scrostare via, di cui voglio liberarmi. Ci sono affogato nel dramma, dentro sguardi melliflui, mentre la vita è la fuori. Chi lo sa. Io no. Io ho solo il rumore fitto in testa, che piano piano scema e rimango con i miei idoli, le mie voglie, le mia incapacità e i miei grandi talenti.

 

Torno a Monaco, lascio Vienna leggendo Le Braci, di Sàndor Màrai, che parla anche di Vienna. Torno a Monaco, che non è casa mia, ma un posto dove abito. Soprattutto è un posto da dove parto. Italia, Slovenia, Austria, India. Stuttgart, Hamburg. Devo comparare un biglietto per tornare a casa, per partecipare alla pizzetta che sto organizzando il ventuno dicembre. Devo tornare e far ridere gli amici, dargli la possibilità di ridere di me, con me. Illanguidirmi alla vista dei Tòret, chiacchierare, raccontare, fare battute, troppe e fuori luogo, abbracciare. Mangiare la pizza, bere birra, sperare di non incontrare la polizia tornando a casa.

 

Apro la porta di casa a Monaco dopo due settimane, è quasi mezzanotte.

Buonanotte, fra cui e tutti i luoghi dove riposano le persone a me care.

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