A volte mi chiedo chi si occuperà di ricordare.
Di ricordare il modo in cui sorridevi da quella collina nel nord della Spagna, col mare sullo sfondo. Giuro, sembravi felice. Oltre ogni mancanza, oltre ogni prima e dopo. Come se ogni frattura fosse possible rimaginarla. Come se ci fosse pietà nel tempo, come si potesse chiudere gli occhi su tutto. Essere felici ancora un giorno. Come se l’inadeguatezza che percolava fino a un attimo prima non potesse raggiungerci in quel punto.
Chi rimarrà a guardia delle nostre passeggiate? Chi ricorderà quanti ponti abbiamo attraversato, in quante città, in quali paesi, in quali stagioni. La mappa della tua mano si cancella a poco a poco, non ne ho alcuna per i miei archivi. Cerco di imprimere l’orma rimastra impressa nella mia mano, di trasferirla al foglio. Rimango solo a combattere con sudore e confusione. Sulla scrivania ho frammenti scomposti che l’aria mi disordina. C’eri, o ricordo male? Eri vera, no? Lo eravamo, insieme, in qualche tempo che ora confondo. Ho anni, e stanze, e viaggi, e colori di lenzuola che confondo. Non ricordo, non ricordo. Giuro che provo, mi sanguinano le meningi, lo vedi?
Pensavo, presuntuoso, di poterti tatuare nella memoria. Poi ha piovuto con più furia di quanto credessi. L’immagine si è slabbrata. Quando i bordi non hanno più saputo trattenere l’immagine è suonato il libera-tutti: io cercavo di aggrapparmi a una memoria precisa, una qualche memoria concreta. Un odore, un colore, una sensazione, il sapore di quel bicchiere bevuto insieme alle sei del pomeriggio. Però non funziona così. Nella prigione della memoria non ci sono diritti. Si lascia tutto all’ingresso, si rientra al mondo nudi, con la pelle senza segni. Eppure, mi piace pensare che la luce di certi giorni continua a propagarsi nell’universo, che se potessi correrle dietro a velocità infinita riuscirei a ritrovarla. A sentire il tuo profumo che si fonde con il mio, ancora una volta. A ricordarmi che prima che fosse nulla era qualcosa e prima ancora era molto. Che da quel particolare punto l’avresti detto tutto. Poi. Poi le cose accadono, le primavera scivolano via, cadono dalla scogliera, accelerano, impattano a una velocità disumana. È la semplice accelerazione che ti strappa via la pelle, prima dell’impatto. L’aria sembrava ingenua, innocua, appena prima di divenire crudele. Poi l’acqua, un muro ghiacciato. La memoria va in pezzi, è inevitabile. Noi siamo quei pezzi, dispersi in mare, feriti, troppo incompleti per morire, troppo slabbrati per vivere.