Sei come una parola scritta chiaramente e circondata da uno spazio troppo ampio: rimbombi. Ti fai ossessione, ti snaturi. Il suono si scompone in singole sillabe, slegate, prive di significato prese singolarmente. Finisce che le rimetto insieme nell’ordine sbagliato. Sei una birra finita fuori dal bicchiere: o numi, perdonate lo scempio. Sei lo spreco, la parola che il mendicante ripete, il diniego del passante. Sei possibilità rattrappita. Sei snaturata: da viva a natura morta, da sorriso che fa tremare le montagne a olio su tela, i colori poco definiti, i contorni slabbrati, a sconfinare nella noia. È un peccato. Me ne accorgo solo io, a ripetere una parola, una parola a cui non va di essere infilata in una mia frase. Ti lascio lì a riposare nel dizionario, ad aspettare altri testi. Storie più accattivanti, forse, strutture meno ardite, magari. Ecco, avessi sentito il verso che ti vedeva protagonista, lo sfondo curato, ad accoglierti, la lirica che trionfa… Massì, sono dettagli, sono insistenze su certi moti di spirito che io ritengo importanti. Me li tengo in tasca, me li gioco a canasta, li uso per stappare una bottiglia. Che ne sai, che ne sai… Avevo delle carte in mano, che componevano la strada che porta a quel parco, a dominare la città, a capire l’ordine articolato del brusio. Non capisci? No, temo che non ascolti. Vedi, ci vuole silenzio nel cuore. Spegnere il ronzio. Al terzo bicchiere di Glen Grant cala di intensità. Lì, col tempo giusto, puoi riflettere, se fai attenzione. Poi il quarto e si ricomincia a perdere il filo. Viviamo di scuse, e di ami che gettiamo fra i liquori, a pescare spiegazioni. Che se non si capisce, almeno non si rimane assettati, forse solo digiuni. Ma la fame si sopporta, sono dettagli. Dettagli fuori posto, che fanno disordine nel cuore.
Disordine
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