Pensieri vari, in ordine casuale, giusto prima di dormire, fra il jet-lag e tutto il resto.
Quindi il 4 Maggio sono salito su un aereo, ho passato la notte in un albergo di Dublino, strategicamente ubicato sopra una discoteca. Sì, è per portarsi le ragazze in camera. No, non lo sapevo fosse sopra una discoteca.
Poi l’alloggio temporaneo, trovare casa, volare a Londra per una conferenza (il 13) e iniziare a lavorare (il 14). Il sabato (17) sono salito su un aereo per Boston. All’aeroporto l’azienda aveva mandato due macchine a prendere me e il mio collega; ne mandiamo via una e lasciamo l’altra ci porti al nostro albergo, a Dedham, un paesino fuori Boston.
Dedham è un piccolo centro ma le strade non sono fatte per essere percorse piedi. C’è un centro commerciale vicino all’albergo e poi niente. In questo centro commerciale un Apple Store. In tutta Irlanda non c’è n’è uno di Apple Store (ok, c’è a Belfast, ma quella è un’altra storia).
La domenica andiamo a prendere un treno, che passa ogni due ore. Per salire c’è una pedana in legno, alta qualche metro. Si può accedere dal treno solo da lì. Giriamo poi Boston, una città fra le più antiche degli USA e quindi “quasi” europea.
Il lunedì un taxi ci viene a prendere e ci porta a lavoro. Dopo pochi giorni capiamo che non ha senso fare ogni giorno 40 minuti all’andata e 40 al ritorno di taxi. L’azienda trova un albergo, teoricamente al completo, ma fatto un certo nome la disponibilità salta fuori. E ci ritroviamo allo Sheraton di Newton, 10 minuti a piedi da lavoro.
La sede dell’azienda è incredibile. Non aggiungo altro.
Salta fuori però che per il giorno del mio ritorno è previsto uno sciopero di Aer Lingus. Mi risistemano sul volo della domenica (1° Giugno). Peccato però che il mio collega, che aveva prenotato quel volo settimane prima, avesse preso l’ultimo posto libero, difatti io non ho un posto assegnato. Ne seguirà il giusto ammontare di stress.
Lavoro per due settimane lì. Sembra che vengano apprezzati i miei primi risultati.
Sono il secondo ad effettuare il check in online (la procedura ti da un numero ordinale). E prendo un posto nella fila 43. La fila 43 ha solo 2 posti ed è l’ultimissimissima fila. Rientro a Dublino.
Questa mattina è stato molto bello camminare sul ponte Samuel Beckett, a forma d’arpa, andando verso l’ufficio. Tornando da lavoro Camille mi dice al telefono che piove fortissimo. Non dove sono io (1.5 km di distanza). Non almeno per 2 minuti, poi dal torso in su ci pensa la mia giacca di goretex, dalle gambe in giù i pantaloni e le scarpe sono zuppi nell’arco di 60 secondi. Sorrido camminando per Dublino, felice. Tornato a casa, al mio appartamento, al mio nuovo conto in banca, al mio ufficio, alla mia Europa, dove sono un cittadino con tutti i diritti.
Il mio primo giorno al mio rientro produco poco, salta fuori un problema, e dopo il su, che sembrava tanto alto, c’è un giù che temevo più basso. Ma se c’è una cosa che il dottorato ti insegna (è retorica: di cose te ne insegna parecchie, e utili direi) è a non entusiasmarti e non demoralizzarti. Credo che l’Accademia sia fatta di sbalzi d’umore immani, almeno i primi anni: un paper accettato o il lavoro di mesi rifiutato. Cosa vuoi che sia a quel punto la possibilità di causare un eventuale problema che impatti i nostri 260-MILLIONI-DI-UTENTI-UNICI-MENSILI. Se ci penso mi fa sorridere l’idea che un numero tale di persone possa un giorno ritrovarsi a inveire contro me o un mio collega, per un problemino magari da poco. Millioni di piccole maledizioni che attraversano l’etere. Mi ripulisco il karma a sorrisi. Esco presto e penso che domani andrà meglio. Domani la farò andare meglio. Con calma e infinita pazienza, in fondo sono sopravvissuto al Poli, il resto è una dolce passeggiata :)
All’aeroporto di Dublino l’ufficiale dell’immigrazione mi chiede dove vivo. Quando glielo dico mi dice che è un bel posto. Gli direi che l’Irlanda è un bel posto. Bè, forse non Limerick, the stab-city.