Viviamo nelle metafore che immaginiamo.
Io ad esempio, immagino la Vita come una scalata su una montagna. Dietro ogni curva si nasconde una nuova salita. È possibile proseguire in una sola direzione: verso l’alto, seguire le indicazioni della fatica.
Ecco, a me sembra che questa montagna si fonda sul mio stress, sulle sfide, sulle sortite fuori dalla mia zona di comfort. Sul continuo ridefinire quello che mi sento a mio agio a fare, e poi forzarmi ad andare un poco più in là. Ecco, se mi sento bene, mi sento a mio agio, avverto il pieno controllo quello è il segnale per fare un nuovo passo, stirare un poco di più la gamba. Insistere.
Naturalmente ho avuto bisogno di carburante per arrivare fino a qui. Non me ne è servito mica poco. Ho dovuto consumare amici, fondendogli le orecchie di chiacchiere, sfogando la stanchezza, il mio scoramento di fronte alla ripidità che sembra sempre sorprendermi. Ovviamente ho dovuto dare fondo alle scorte di alcol. Senza alcol sarei fermo alle pendici, a guardare con diffidenza la massa minacciosa che si erge di fronte a me. L’alcol invece mi riduce la vista, mi permette di vedere solo il picco immediatamente di fronte a me. Molto meglio. La scalata appare tollerabile solo dal fondo di un Negroni bello carico. Specie il terzo. Il terzo è la chiave di tutto. Da lì in giù tutto è possibile, tutto è ottimismo.
Ogni scalata degna di questo nome si fonda sull’incoscienza, sull’incapacità di vedere il quadro generale è arrendersi. La mia arma segreta è la stupidità selettiva.