Invece di lavorare a quell’altra storia, che son mesi di studio, provo a buttar giù alcune righe sulla storia del bosco. Che poi tendenzialmente non sapete di quella storia che inizia e finisce nel bosco. Cioè, qualcuno sì. Quella con Riccardo e Maria. Ma vabbè, dicevo così per prender tempo, per farvi stufare.
Qualcuno mi sa spiegare il segreto per sopravvivere?
Io, davvero, non sono capace. Almeno, non per quel tipo di sopravvivenza.
Respirare quando è difficile, quello sì. È respirare senza un motivo che invece non so fare.
Io di libri di rimpianti ne ho già scritto uno. Non posso passare il resto della vita a scriverne. Non ci sono abbastanza adolescenti annoiati che sappiano leggere, non ci sono abbastanza tastiere da consumare. Non ho abbastanza fiato per arrivare in fondo perché io, non credo di poter respirare più.
Hai presente l’intervallo di respiri fra quando hai un senso e non ce l’hai, fra quando nasci e quando trovi un motivo che giustifichi il tuo essere qui ad occupar spazio e sperperare risorse del pianeta. Ecco. È apnea, baby, è apnea per me. Io che non so nuotare ma l’apnea mi è sempre piaciuta. Da ragazzo mettevo la testa nel lavandino colmo, l’acqua mi isolava. Certi giorni che ero più forte lanciavo un’eco, che andasse a trovare i me del futuro e dargli una mano quando ne avrebbero avuto bisogno. Aspetto che si schianti ora su di me. Quel ragazzo potrebbe darmi ora la forza che mi serve? Lui ne aveva bisogno, sai. Farsi la barba e laurearsi, che momenti difficili.
Non so, per qualcuno, la ragione è star qui a bere Brancamenta. Per altri può essere un buon lavoro. Una casa ordinata, le piastrelle nuove del bagno. Vorrei, vorrei mi dispiacesse che non sia così per me ed invece a me non piace neanche, il Brancamenta!
Sai, non credo di poter ancora cercarti fra le righe che scrivo, mentre scolorisci.
Sai, non credo di saper scrivere abbastanza bene da creare un mondo, disegnare l’esatto modo in cui la luce ti accarezzava i capelli, descriverti mentre cantavi i Guns o mentre guardavi me cantare.
Non potevo prima, ora che ho capito… quanti respiri di autonomia mi rimangono? Uno, due? Mi hai tolto il fiato baby, ne avevo per sopravvivere ancora qualche mese, provare a trascinarmi a riva, prima che un’altra ondata di te mi portasse dove non tocco, a me, che non so nuotare! Ora no, ora la riva non so più neanche dove sia, sai. Ma che importa, non l’avrei raggiunta comunque, mai.
Ci sono cose che di cui ho cercato l’arte. Sono andato a scuola di sopravvivenza. Ogni week-end lo passavo però, a cercarti sotto i sassi. Li ho rivoltati tutti e ancora non ho abbastanza brandelli di te. Il bosco è finito, baby. E io ci sono rimasto dentro.
Eppure c’è un sentiero. C’è un sentiero e lo vedo. Se tu chiami, io verrò. Ci incontreremmo a metà, dove io mi fido di te e tu ridi quando inciampi. Ecco. Mi prenderesti in giro baby, per la mia camminata caracollante, per il modo tracotante in cui ti guardo e ti dico che tu sei mia.
E se i sentimenti li esprimi, li rilasci semplici come cristalli, allora la luce ci passa attraverso e ti rimangono impressi sulla retina, insensibili al calendario. Ci sono cose che non se ne vanno, anche se sarebbe più semplice. Ho provato a sciacquarmi con l’acqua bollente, hai provato a lavarti con la candeggina. E il tuo profumo è rimasto lo stesso, il mio modo sghembo di sorridere anche. Non l’avevo usato più ma non sa di naftalina, vero? È un sorriso nuovo, ad una persona nuova. Anche se ricorda quell’altro, quello che mi somigliava e che ancora non aveva capito.
Non ho scelto io il contorno, non l’ho scritto io il libro dei perché. Io sono solo l’artefice dei miei errori, delle mie inesattezze, del mio non essere stato già pronto, già lì, il mio essere tardo. Sono arrivato dopo che la campanella è suonata. Ti va di attardarti con me al dopo-scuola? Ci farò mettere in castigo baby, e quando la maestra si volta passeremo il tempo a darci bacini di nascosto. Sai, non lo dire in giro, ma sono una birba.
Che poi tu, a volerla dire tutta, tu sì che sei una birba provetta. Io sono una birba apprendista. Ma ho il mio stile, il mio modo, alla fine, di riuscire a sollevarti. Lascia che ti sollevi, è divertente o no? E comunque io il biscotto poi non l’ho mangiato. C’avevo mica tempo per ‘ste cose, io. C’avevo da guardarti, c’avevo da spiegarti. C’avevo da toglierti il caffè dalle mani. Che poi, quando si è sinceri, tante cose sono più veloci da dire: servono meno parole.
Ecco. Io le ho dette. Mi siedo, nel bosco c’è un ceppo. Mi siedo e continuo ad avere paura. Sono un bambino coraggioso, io. Ma non abbastanza da non tremare in momenti come questi. Mi siedo e spero che tu abbia capito quanto di vero c’era. Quanto abbiamo bisogno di sorridere in modo inevitabile, quanto sia stancante alla fine coordinare i muscoli facciali in un sorriso studiato sui libri di scuola. Quanto alla fine, se scegli quel modo lì, alla fine ti beccheranno sempre. E cocci, e persone infrante. Non l’ho scelto io che tu fossi questo per me. Non ho scelto io il viceversa. Io scelgo solo come reagire, ora. E lo scegli anche tu. E poi sarà scelto, mi strapperò l’edera che mi cresce lungo le caviglie, che si attacca al ginocchio e mi buca la pelle.
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