La cosa strana di tornare da mia madre è che le cose sono rimaste lì, ma è come se avessero una patina che le separa dalla quotidianità, come fossero paralizzate. Cose da museo, non più vive.
E la cosa strana è che non ho alcuna birra o bottiglia di whiskey nascosta da alcuna parte. Forse in qualche cassetto potrei trovare un pacchetto di sigarette davvero troppo vecchio.
Non posso non ricordare che siamo stati giovani, belli, felici. Certi giorni felici come polli di gomma, altri giorni felici come inebriati da alcol di scarsa qualità, altri giorni storditi dalle nostre parole.
Siamo stati felici in mille modi diversi e in cento luoghi sparpagliati qua e là.
Abbiamo continuato a essere felici, e poi abbiamo smesso, come a prendere fiato, per poi ricominciare più in là. In mezzo tante paure che sono diventati dolori da stringerti l’animo, da farti dire che non ci fosse più alba possibile. Poi ci siamo resi conto che le nostre piccole tragedie personali passavano senza che il mondo se ne accorgesse. Abbiamo scosso le spalle, siamo andati avanti. Ancora. E ancora. Fino a dimenticare il percorso esatto.
Ci troviamo ancora, parliamo fino ad addormentarci con il cuore che vorticava, la testa senza parole, tutte sparpagliate qua e là, fra oggi e ieri, fra le speranze e i ricordi di un tempo che è stato bello, e grande, e un preludio di qualcosa che deve ancora venire.
Al prossimo viaggio Giuviello.
E l’inno del Giuviello…