Tutto torna a sfaldarsi, e poi a ricomporsi, in quel tuo sorriso che non cerca protezioni, ma solo di restare ancora un poco, nel cuore. Di venire appresso, di guardare da sopra una spalla, leggera.
Sei rimasta bimba, ma che sorriso, è così serio. È così infinito che trascende tutte le cose che non hai fatto. È così incapace di fermarsi lì, al 1983. Il tuo sorriso continua. Sta sempre in salotto, e poi su, per le scale.
Come si fa, come si fa a diventare grandi? Com’è, com’è che tu lo sapevi già? Com’è che facevi quando faceva male?
Mi dispiace, sai.
Piango, mi lavo i denti, torno.
Hai lo stesso sorriso.
Avrai lo stesso sorriso quando, a Dio piacendo, fra dieci anni riguarderò le stesse foto. Neanche una in più. Avrai lo stesso sorriso. Lo stesso cuore senza tagli, lo stesso biglietto d’addio.
Io avrò più tagli, meno capelli, più esperienze. Più distanza fra te che mi tenevi in braccio sul bordo della fontana di Caneto. Ci vorrà il tuo sguardo infinito per continuare a superarla. Tu lo sapevi che un sguardo meno forte non sarebbe bastato a raggiungermi, mi sei voluto rimanere qui, dove ti so vicina.
Come fai a superare certe distanze? Come facevi ad avere già imparato?
Un giorno io saprò cosa vuol dire avere i capelli bianchi, tu come si sorride. No, non vorrai fare a cambio.
Vorrei potessi insegnarmi, sai?
Io che rido ma a sorridere, potrei imparare, forse. Che ne dici? Tu, potessi, mi insegneresti?
Staresti qui con me a parlare questa Domenica?
Discuteremmo di cosa ricordi tu, di cosa ricordo io.
E io continuo a ricordare, a inciampare nelle distanze, a perdermi sempre più appresso a volti che non ricordo, a case che invecchiano, a studi chiusi. E tu non inciampi mai? Quelle gambine corte e quel lungo cappotto.
Riguardando vecchie foto
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