Degli altri si dice snocciolino sguardi lungo le coste, li rivolgano alle loro faccende e lascino pensieri qua e là, a colare verso riva, a ferirli di distrazione. La notte i tarli si insinuano fra i loro cattivi riposi.
Coloro che partirono invece, sbarcarono poi fra l’acqua fredda, la ghiaia a ferire i piedi, alte palme a distrarli dalle memorie del ritorno.
Ero stufo di provare nostalgia per un un futuro che non c’era e così fui fra coloro che si imbarcarono.
Passate che ebbi le Canarie, seguii come molliche di pane le Pleiadi. Non le raggiunsi mai e ancora ho di che viaggiare, di che consumare scafi e suole.
Dall’altra parte della costa posai diligentemente il mio nome sulla sabbia: a cosa serve averne uno dove non ci sono città, né osti, né conti da pagare?
Preparai il ritorno bruciando le navi. Quel caldo saluto era un addio o un benvenuto: non ho mai capito appieno la differenza.
Camminai fra le terre che qualcuno chiamava possibilità mentre altri vi ambientavano storie di uomini neri al duplice scopo di spaventare i bambini e scoraggiare sé stessi dal desiderare troppo forte, troppo in là quando c’erano confini rassicuranti e mari a dividere il raggiungibile dall’eccesso.
Incontrai sovrumani silenzi, e dapprima col mio semplice sopravvivere, poi con il coraggio della disperazione imparai ad abitarli.
Smarii il senso del ritorno, camminando lungo quella che ora chiamano la Gran Via e che allora non aveva nome né per me, né per i pappagalli multicolore che incontravo. Era solo strada e significava “metti un piede di fronte all’altro. Ancora”.
Arrivai dovunque dovessi, perché non c’era fine, in quella strada lunghissima tanto da non chiedere di essere percorsa tutta, tanto da non sfibrarti di domande “Quanto manca?”. Mi parve di udire in sottofondo la risposta: “Più di una vita. Riprendi a camminare”.
Dall’altra parte del mare, c’è un mare intero a separarti dalle tue paure.