Non saprei spiegare esattamente come mi fossi ritrovato su quel divano, quando gennaio scorre via. Oltre le Alpi, il mare e ogni distanza che si possa solcare in una notte.
Vista da qui, la strada all’indietro era logica, di quella logica che non ci puoi fare niente. Come una tessera del domino dal lato sbeccato; la posi, la guardi, oscilla, cade.
Allora mi sono messo ad ascoltare qualche canzone, poche, non lo faccio mai, non lo faccio più. Sono stato un po’ in silenzio, di quei silenzi di quando non hai più nulla da dire. Sono stato fermo, più che potevo e, sempre tacendo, ho provato a ricordare. E’ stato confortante, perchè sebbene non potessi mettere alcun ordine, nella mente mi tornavano delle immagini che mi sono care, dei volti, come venuti a soccorrermi, come se a loro delle Alpi e del mare non importasse nulla. Come fossero sciocchezze.
Sarebbe bello pensare che domani mi alzo, busso alla loro porta, mi precipito a casa loro. Però sai, di alcuni so di non avere più un numero o un indirizzo, nè loro il mio. Sono persi come una bella serata in cui hai bevuto troppo. Puff. Altri lo so, fisicamente, dove stanno. E potrei raggiungerli, o loro raggiungere me. E sai mi piacerebbe pensare di essere capace, con un gesto di strappare me stesso alla mia ragnatela di obiettivi, di rinunce, di investimenti. Sarebbe romantico, vero? E io, in fondo, sono l’ultimo e il più grande dei romantici. Capace di cucire l’impossibile con punti piccolissimi, impercettibili.
Però i gesti necessari sarebbero più di uno: e fra ognuno di essi ci sarebbe uno spazio immenso e spaventoso, in cui si infilerebbero i miei vuoti, e i loro, e le cose che portano loro lontani e me da loro, le loro vite e le cose che mi tocca di fare.
Allora io cucio i ritorni e le preparazioni. Come tutti, tutti quelli che si erano ripromessi di tornare, e in qualche modo confuso ci credono ancora, oggi, dopo sette anni. Pensano che un giorno il momento sarà propizio, la congiuntura favorevole. Hanno mezzi piani, poco convinti. E io probabilmente sono uno di loro.
Cerco, cerco di ricordare, ma non troppo forte, che non faccia male. Penso, e credo che mi basti sempre un colpo di reni, un singolo colpo di reni.
Chissà. Intanto il mio capo del precedente lavoro mi ha scritto, mi chiede come va, se mi trovo bene nel nuovo lavoro. E mi fa piacere che me lo chieda.