Ero rimasto lo sfondo instupidito di una scena che si andava disfacendo. Il modo in cui la luce soffusa della notte ti decorava il viso: non si trattava di qualcosa che potesse durare. Me lo diceva il modo che aveva la realtà di vibrare esasperata, incapace di reggere a lungo quell’equilibrio impossibile. Non potendo rimuovere la notte, fosti tu a scomparire dalla scena. Io rimasi una falena sperduta. Mi agitavo senza direzioni, senza ovvie soluzioni.
È strano pensare come da molto prima, da subito, tu avessi deposto le avvisaglie dell’ineludibile attorno a te. Mi svegliavo e trovavo sul cuscino un tuo avviso dolce. Sapevi che quel tempo sarebbe venuto e ti premuravi di addestrarmi, a poco a poco, alla lontananza. A capire che un giorno in casa sarebbe rientrato solo il tuo profumo. Che un giorno saresti stata infinitamente lontana. Che la notte alla fine non ti avrebbe più restituita, ci si sarebbe rivoltata contro. Inghiottita dal tuo destino.
Ho giocato solo per un istante a non crederti. A pensare che l’impossibile sarebbe dapprima divenuto improbabile, e che alla fine io avrei addomesticato le leggi che governavano le nostre Vite. Avrei tessuto un nuovo luogo, scevro da regole a noi contrarie. In quel luogo avrei potuto incontrarti, per davvero, come solo due pensieri assoluti possono sfiorarsi, specchiarsi, fondersi in un qualcosa, in una minaccia alla fibra della ragione, in un qualcosa di diverso che vorrei poter spiegare e già mi si scioglie nel cuore. Rimango così, instupidito. Eppure giurerei ancora di sentire il tuo profumo, certe sere. Solo di tanto in tanto, solo quando così piace, a qualcuno di infinitamente lontano.