Fra qualche ora sarò probabilmente seduto sul sedile di un TGV diretto a Parigi.
Avrò con me uno zaino. Dentro, se non avrò dimenticato nulla, ci saranno dei panini, il libro del corso Assimil di francese, qualche noioso articolo su ecosystem IT, calze, mutande, altri oggetti di uso comune. Una bottiglia di San Simone, magari.
Se continuerò a essere sfacciatamente fortunato come in queste ultime settimane potrò voltarmi a ogni parola che non so pronunciare e chiederLe aiuto. La guarderò sorridere.
Mi piacciono i viaggi perché sono la metafora, il rimpicciolimento in una dimensione comprensibile di un’altra avventura, della forma definitiva e completa di avventura, quella che tutti intraprendiamo, o dovremmo intraprendere. Mi sembra di aver abbandonato il porto, che nessun ormeggio potesse più trattenermi al molo. La ruggine è sparita in un attimo dallo scafo, come fosse stata pronta ad andarsene, in attesa di un segnale. Ho imboccato una rotta che, non mi vergogno a dirlo, mi sta portando alla Felicità.
Non so cosa succederà; mi muovo seguendo gli istinti di uno stomaco che brontola, di un cuore che pulsa, una fitta al ginocchio la interpreto come la necessità di gettare le ancora, un formicolio dietro l’orecchio e do piena forza ai motori. Procedo a questo modo, come se navigare, e quindi Vivere, fossero gesti naturali, incisi da qualche parte dentro me, in profondità. Non ho istruzioni da seguire, respiro e il desiderio si fa gesto, il gesto combacia con la realtà e con i Suoi movimenti. Salgo sul pennone più alto e scruto l’orizzonte: ha un colore che ispira fiducia.
E allora parto.
P.S. ho scritto più di una volta di viaggi: tipo qui o qui o qui o qui.