Domani gli ultimi preparativi, dal trovare una valigia all’acquistare il necessario. Poi parto, torno ad Oporto, dopo undic’anni. Quell’interrail quando ero appena maggiorenne (o stavo per diventarlo? Non ricordo). Mi ricordo le monete eptagonali.
Oporto.
Questa volta sarà diversa. Certo non ci sarà il pullmino di Diogo ad aspettarmi ma incontrerò Daniel. Lo raggiungerò in centro, muovendomi con la metro. E starò undici giorni fra Oporto, Braga e ancora Oporto.
Ma non è il dove o il come. E il viaggiare, il metaforico alzare il culo dalla vita quotidiana per poggiarlo un po’ più in là, dove gli odori sono diversi e le certezze un po’ meno. Ho tante immagini nella testa di viaggi passati in posti che non ricordo, mi rimangono solo le sensazioni. E una che spesso provo, quando parto per più di 3-4 giorni è questo lento levarsi di una sorta di brezza, che mi distrae e mi accarezza. Mi rende inquieto, mi costringe a far caso ai miei respiri. A pensarmi. A pensarmi viaggiare, con le insicurezze moltiplicate per cento e la voglia di vivere lo stesso, un po’ più forte di qualsiasi dubbio.
Ed è bello vedere le incertezze, i dubbi e le paure di casa da un po’ più lontano. Per avere la giusta prospettiva serve o molto tempo o del semplice, economico, spazio. E allora me ne volo in Portogallo. A una conferenza. A trovare amici Erasmus. Cari.
E ascolto questo vento che mi inquieta, si, ma solo perché vivere non é mai completa quiete.