E’ un po’ che non scrivo. E’ come sono là fuori: non ho molto da dire. Il lavoro che arranca. Ci sono milioni di possibilità che potrei inseguire e sono incagliato qui… a provarci. Non è propriamente semplice. Insisto.
E poi potrei parlare di quei 29+1 ma non è ancora tempo.
E allora che rimane? Giugno che gocciola via in attesa di partire, al suo calare, verso Porto. O Oporto. A dire Obrigado, a salire su un pullmino Volkswagen. A rivedere Diogo, a rivedere Marcello. Undici giorni in Lusitania. Quando non ho birra in corpo sembrano tanti, io preferisco viaggi brevi e intesi, quando ne ho ho difficoltà a non lasciare la sedia, a non correre dietro al pensiero, già lì. E viaggi e viaggi e viaggi. Che poi si andrà a trovare Flavia e Ami. E poi chissà, ci sono sempre quelle 28 ore di guida in un week-end che mi riposano sul cuore, come un rompicapo irrisolvibile. E’ che ci sono viaggi e venti, e li percorri e li scordi per poter continuare ad essere vivo, curioso, insoddisfatto.
E’ parlare, è sempre, solo parlare. Perché ha sempre ragione Sant’Agostino quando dice che ci stupiamo di fronte alle meraviglie del mondo e poi passiamo indifferenti di fronte alle persone. A me le persone stupiscono, o meglio, gli intrecci, delicati e intricati, i corsi ed i ricorsi di eventi che precipitano al loro posto dopo anni dall’essere accaduti per dipingere un quadro che ha troppi livelli per non sentirlo come un’armonia, che a guardarlo solamente non si capirebbe. Guardane le vibrazioni, bevici su, ed ecco che appare.
Amo la Vita, è che non so sempre dov’è, e allora mi muovo un po’ alla rinfusa.