Se scorro in questa corrente di vie di città, di luci, di statali e capannoni, mi s’insinua una domanda fra il canino e l’incisivo, mi scombina la camicia e, in definitiva, mi punge distratta.
Dov’è mai questo amore?
Cammino e vedo baveri alzati, gli sguardi che con timore sfiorano le passanti, il tempo di dimenticarne il volto, ricordarsene se va bene il culo, lo stringersi dei jeans. E parlando c’è l’insicurezza che rotola nelle vite più belle e pure, ad abitare paesaggi lunari.
E mi chiedo senza alzare la voce: dov’è mai questo amore?
Dove? Nelle serate in cui mangi cene fredde o apri il cartone di una pizza su un tavolo assediato da sedie vuote. Dove, se combatti la solitudine a colpi di telefilm e sentimenti di carta, fra le pagine di un romanzo mediocre, nella sceneggiatura di una storia già girata.
Dov’è questo amore in un mondo di ragazzi dalle mani callose, un mondo in cui anche le ragazze di buona famiglia cercano l’intimità sfiorata fra le piastrelle bianche e azzurre.
Me lo chiedo, sai, negli sguardi che vanno in pezzi, nelle parole a mozziconi, nelle confusioni che scivolano via. Chi è che la raccoglie questa sensibilità? Chi è che la fa vivere? Dove è che va a finire tutto questo agitarsi o farsi depredare da attese o ancora inciampare noncuranti nei sentimenti altrui. Dove?
Le risposte che trovo sono poche. Fra le parole di un’amica che si sposa fra meno di un anno, e il suo sguardo lucido alle cose. Fra lettere che ora sanno di polvere, e di pot-pourri che prova a non invecchiare. Fra le risposte urlate: “dance to the tension of a world on edge”. Fra gli sguardi, sia propri che altrui, che spuntano da vecchie foto e che non vuoi deludere.
La domanda scivola via, sotto pelle. Quel genere di domanda per cui devi coltivare una risposta.