Per scrivere qualcosa, in attesa di tempo e ispirazione migliori
Certi eventi li cominciamo a ricordare così, a partire da una data, come una diga, a dividere il primo dal dopo.
Se questo modo di vedere le cose, di classificarle, va bene per molte delle cose che ci succedono, non si adatta a tutte. Per alcuni avvenimenti infatti capita che, mano a mano che ci allontaniamo dalla data cerchiata in rosso sul calendario, incominciamo a vederne gli effetti su ogni aspetto della nostra vita, anche di quella precedente al supposto inizio. Certi fatti si espandono, entrano nella fibra delle cose e quando lo fanno non ha più senso parlare di un prima o di un dopo, si tratta di distinzioni fittizie, comode per organizzare l’agenda e nulla più.
Credo che questi fatti dapprima si espandano occupando il nostro tempo, fino a che ci sembra di non averne più, che ogni attimo sia in qualche modo deformato alla luce di quel particolare evento, che acquisti una sfumatura diversa, come ci fosse perpetua una nota di fondo. Poi però l’evento crea lo spazio, continuando a espandersi apre territtori che mai avremmo saputo vedere o abitare, noi che saremmo morti d’affanno una domenica pomeriggio di pioggia, ci troviamo invece così, a popolare mesi e luoghi come fossero nostri, per davvero.
E allora bisogna capire dove metafore ed etichette comuni sono inadatte, dove perdono significato e capacità di spiegare i fenomeni. Il tempo è una possibile chiave di lettura ma alcune cose sono scritte in un linguaggio più antico del primo granello di sabbia.
Tic. Cosa sarà mai un giorno, poi?