Quanti cambiamenti programmiamo?
Quanti cattivi giorni ci nascondiamo dietro la promessa di un cambiamento: a qualcuno, a noi stessi?
Com’è che nasce un cambiamento?
Non lo so. Però ho scrutato a lungo il silenzio con orecchio vigile, ho ordinato mille e una volta ai miei muscoli di muoversi, poi, un taglio nel silenzio: quello scatto infinitesimale e rinizio a muovermi.
Uno dei miei primi post si chiamava così, Cambiamenti. Era il Dicembre 2005.
Era li vedo i cambiamenti a cui sono andato incontro e non mi illudo più di aver raggiunto nessuna riva, ora guardo al viaggio, alla necessità di mutare. Ciò che non muta muore.
Mi scrollo di dosso le briciole d’apatia, sorrido della vecchia pelle. Mi ha tenuto compagnia quando serviva quel modo di proteggersi dalle cose. Ora sollevo la coperta e guardo fuori. Non mi piace tutto quello che vedo ma mi piace l’aria che si muove, che non puoi stringere nella mano.
Happiness is not a state to arrive at, but a manner of traveling.
Maybe.
But to me, that should be a manner of being. Being seems such a good alternative to just stay there, days spent collecting dust. Dust that poisons your beer. That does not sound great.
Buon viaggio, buoni cambiamenti.