E poi non ho pensato più.
Allora le possibilità impossibili si sono frantumate in mille sfaccettature, in “forse” raggiungibili, in mezze verità, in mozzichii di soluzione, in percorsi ricchi di curve a gomito, in scorci color pastello.
Là io me ne stavo a sorridere, del riflesso sul vetro scuro, della luce che si contorce ad abbracciare la bottiglia, a sedurla in un gioco di rimandi.
Ho guardato tutte le strade apertesi e ho sorriso, non perché qualcuna di loro fosse particolarmente giusta o avesse quel suono assoluto di verità annunciata, di fanfara ampollosa e certa. Ho sorriso perché tutti quei percorsi semplicemente erano, e il loro combinarli era la possibilità di perdersi, sbagliare e ancora riprovare, in un gioco a diventar vecchi e pieni di errori e cicatrici e birre finite e casse di pfand da ritornare e strade di notte, che poi ti sei perso e il prossimo casello io esco e non importa. Che poi c’è sempre un bar a cercarlo bene.
Sto bene, sto meglio. Sono meno stressato. I giorni passano e io esco, forse non riesco a fare tutto ma che importa, faccio, vedo, bevo, esco.