Ecco, se mi trovassi nuovamente dietro al volante di una macchina io farei questo. Accarezzerei la pelle consumata del volante, guarderei il numero di chilometri e me lo segnerei a mente. Quel numero sarebbe la mia partenza, l’inizio della sfida, ad aggiungere le decine di migliaia di chilometri. Ammirerei i piccoli difetti, le linee della carrozzeria, gia’ demode’.
Poi metterei in moto e andrei, accelerei fino a tornare ai miei 25 anni. Entrerei nella rotonda come quella volta, e darei un colpo deciso al volante. A tavoletta fino a ritrovarmi ventenne. L’estate, la portiera aperta, nella testa una ragazza, nella mano una bottiglia di birra. Nell’aria i suoni distorti di un’autoradio tenuta a volume troppo alto.
Ecco. Mi fermerei qualche quarto d’ora li’, il tempo di una birra calda, tenuta nel bagagliaio. Il momento necessario ad assorbire sogni ed ingenuita’, la capacita’ di proiettarsi in un futuro ancora da scrivere. Gli lascerei invece gestire quel senso di incompiutezza di allora, quel bisogno di divenire, di trovare forme e modi di essere.
Riprenderei il cammino, il serbatoio ancora pieno. Parcheggerei a lato strada, ti aprirei la portiera e ti guarderei scendere, in qualche stradina sterrata di provincia. Con cosa cavolo confina questa estate? A quanta fame si trova da casa?
Via, via, correrei via da te, senza gettarti un colpo d’occhio. Ripercorrerei il tempo, l’accelererei. Tornerei a rasarmi i capelli e a lasciarli ricrescere, a comprare giubbotti di pelle e riporli nell’armadio. Non farei caso al modo in cui le linee si definiscono, le possibilita’ si restringono. Salvo poi esplodere in decisioni impreviste, in assi estratti dalla manica. In colpi di genio e strategie inattese.
Calerei l’asso, e al tempo spesso il piede sull’acceleratore. Via, via, via da qui, prima di dover fare i conti con le proprie scelte. Giustificare i risultati a quel ragazzo che ero. Capirebbe? Forse. Chiederebbe di piu’? Quasi sicuramente. Aveva solo fame, mica soluzioni, lui.
E allora continuerei questa corsa a rovesciare destini e fortune, a riprendere fili, a disegnare svolte dove non ci sono. Ad improvvisare, perche’ ogni piano e’ saltato. Perche’ di piani non ne ho bisogno. Ho bisogno di cavalli, di uno schiocco che dia il via, di Asso che ride mentre si sporge dal finestrino.
Io guiderei perche’ in fondo guidavo da sempre, molto prima di imparare a farlo. Perche’ in macchina ci vivevo, a cominciare da quella punto granata. Perche’ avevo fatto centinaia di migliaia di chilometri per placare domande, per evitare di dover prendere decisioni ragionate.
E poi avevo smesso di guidare. E seppure aveva senso, be’ in fondo la parte migliore di me un senso non ce l’ha, lo cerca, perche’ e’ una scusa per andare una curva, un chilometro piu’ in la’.
E quindi sto coltivando scelte illogiche, irrazionali. Perche’ fa parte del mio fascino. Perche’ essere pianificatori e seri e’ solo una parte dell’equazione.
Per cui…