Sono una persona ansiosa.
Forse lo sono sempre, forse lo sono particolarmente quando sono stanco. Forse lo sono particolarmente per cose per cui non dovrei esserlo. Forse lo sono in alcune situazioni, anche stupide se vogliamo, e non in altre, quando avrebbe maggior senso.
Ecco, non so se ci sia una logica in quest’ansia. O una radice emotiva antica. O lo specchiarsi di un sovraccarico di emozioni e fatiche. Non lo so.
Però vorrei riuscire a liberarmi, a vivere le cose in maniera diversa.
Per lo più le cose le faccio comunque. Credo di aver affrontato il mio numero di sfide, di non essermi rintanato nel comune e nel conosciuto, di aver continuato a procedere, semplicemente lasciando all’ansia e alla paura il cuore ma non le gambe. Le gambe hanno continuato ad eseguire ordini, senza pietà alcuna. Avanti. Ancora.
Ecco, la logica delle mie ansie mi sfugge. Talvolta è un segnale di cose che semplicemente non voglio fare. Altre volte riguarda situazioni sociali che non voglio vivere. Raramente riguarda cose in grado di portarmi un danno reale, praticamente mai riguarda la possibilità di un danno irreversibile. Ho una paura smisurata di certi piccoli disagi, di cose pratiche, di contrattempi.
Invece le sfide professionali, anche ad alti livelli, non mi spaventano per niente. Non mi spaventa presentare alla conferenza più importante di un certo settore, mi consuma la possibilità di un contrattempo all’aeroporto o all’immigrazione.
Ha senso? Probabilmente no, ma è la realtà che ho vissuto, che vivo e che vivrò fino a che saprò cambiarla. È parte di me, dei mio modo determinato ma insalubre di vivere la vita. In qualche modo credo di poter accettare il malessere che mi causa, ma di non poter accettare che mi causi rinunce significative. Per cui soffro e continuo. Senza ascoltarmi.
E allora non so, se abbia senso, il mio modo di vivere l’ansia, il mio modo di gestirla e le mie strategie. Forse no, sono da rivisitare, da migliorare, da affinare.