Trovo troppi biglietti del TGV, nascosti in questa o quella tasca. Andate, ritorni, viaggi che non ricordo: salgo sul treno e molto finestrino dopo siamo arrivati. Puff.
Guardo il portafoglio e trovo biglietti di ogni tipo.
Un buon per ritirare un premio al GS sotto casa. Lo scontrino è cancellato dal tempo, il GS è diventato un Carrefour e non abito nella casa vicino a quel GS da almeno quattro anni.
Un cartoncino con i numeri da chiamare se dovessi bloccare la carta Sanpaolo che non ho più.
Un biglietto da visita con i dati del mio consulente in Credit-Agricole.
Un indirizzo di una stanza in Germania. Non so in quale città.
È come se avessi le tasche piene di prove di fatti mai avvenuti, di eventi evaporati e annullati.
C’è tanta velocità, tanta, tantissima. Mi muovo più veloce della mia capacità di memorizzare i volti, i luoghi. I profumi di un angolo di Dublino già si confondono, si slabbrano, rincorrono le memorie abberracciate di un parco di Karlsruhe, di un ritorno a casa in Piazza Emanuele Filiberto, del kebab che prendevo alla stazione di Münchner Freiheit.
Ci sono eccezioni però: rimane quello strato inossidabile di memorie accumulate in un tempo più lento. Immagini studiate più a lungo. Tagli più profondi.
Rimangono i ritorni a Torino, rimane quel pugno di persone per cui salirei su ogni treno, aereo o nave che fosse necessario.
Rimane quella musica che ascoltavo e non ascolto più.
Compro spotify, scarico della musica prima di correre al treno. Se esploderà, in questi giorni confusi, lo farà mentre ascolto Guns n’ Roses, ricordo emozioni e gesti antichi.
Forse non li so più eseguire, non a questa velocità. Ma li ricordo e mi colorano l’anima.
Così scelgo, scelgo di ricordare. In attesa di rallentare e riprovare a essere, fare, raccogliere memorie durature.