Scivola lentamente, in un sonno silenzioso.
Smetti di pensare, continua a cadere.
Se aspetti, se aspetti abbastanza, se la luce si ferma sulla soglia, se neanche un rumore o un pensiero vengono a disturbarti, forse, allora ti capiterà di scorgermi. In fondo a tutto, in fondo alle tue giornate, ai tuoi progetti e le tue paure. Dopo le aspettative e i problemi quotidiani, dopo tutte le incombenze, il traffico, gli affanni e i ritardi di una Vita che va sempre a modo suo, e tu a coglierle dietro.
Ecco, mi vedi? Non ne sono certo. Forse la prospettiva non è giusta, lo sguardo non abbastanza lucido e io rimango una macchia sullo sfondo, un chiaroscuro incompleto.
Ci sono cose che possiamo condividere, come spezzare il pane, sederci e sbocconcellarlo silenziosi.
Ecco, non ci fosse nulla da dire, quello sarebbe il traguardo. La fine, capisci? Una fine dolce, una di quelle che ci meritiamo.
Mi manchi quando non ci sei, mi manchi quasi quanto mi manco io quando mi perdo in giungle di affanni, quando mi smarrisco in un caravanserraglio sgangherato di distrazioni. Di illusioni. Quando credo che alcune cose siano importanti, e non lo sono, arrivo tardi e poi non vengo affatto.
Mi piace pensare invece, che in qualche modo arriverò. Che ci vedremo per davvero alla fine di ogni pensiero, quando non c’è più bisogno di pensare. In un mondo che non ha bisogno di finestre. Uno di quei mondi che durano un attimo o forse due, e sono abbastanza. Perché io forse posso vivere le strade del mondo, ma spesso voglio non farlo. Voglio che tu sia il mio vizio, la mia scusa e, soprattutto, il mio rifugio. Quando potrei essere mille cose ma semplicemente non mi va di farlo. Ecco, così, a porte chiuse. Poi riprenderò e farò ciò che debbo fare, ciò che voglio fare. Costruirò, perché quello è il mio verbo. Difenderò, arroccato su posizioni a cui non crede più nessuno, perché quella è la mia scelta, da sempre. Però saprò che c’è un posto dove non ho difese, dove scelgo di essere vulnerabile. Tu sei quel posto. Tu sei quel porto.