Lascia che il calore si condensi piano e diventi coraggio, poi apri la tua mano e raggiungi la mia. Smetti di pensare: lascia che ombre e dubbi cadano come foglie stanche; non ti servono più. Seguimi lungo questo sentiero più antico delle mie parole. Fidati dell’odore di sottobosco, del taglio sottile del cespuglio di more. Qui, dove la saggezza del bosco ci protegge dalla malinconia del tempo, voglio costruire un riparo e in questo riparo raccontarti una storia.
È una storia bellissima, sai. È una storia che ho ereditato come un pezzo di cuore, è nata da tutto l’amore e le speranze che ho ricevuto in dono: le sue radici sono nella capacità di volermi bene che mi ha insegnato l’allodola, nuotando nell’aria fresca, abbandonandosi alle evoluzioni più bizzarre e ardite. È una storia che ho continuato a cucire con pazienza, ogni giorno che cadeva una goccia e non era mai pioggia: era un giorno il tempo sprecato, un altro il rancore, un altro ancora il dolore dell’attesa. Ho continuato a lavorare a questa storia e poi, come d’incanto, ma di un incanto lento, che ti lascia il tempo di stupirti, hai preso il tuo posto nella storia e le forme prima indistinte si sono sciolte nella sagoma precisa del tuo profilo. Ogni inconsistenza è caduta a terra, ormai inutile, sconfitta: il sipario lacerato di un teatro di provincia. Non mi serve più questo sipario, non ho più storie da nascondere. Rimani con me nel bosco e ascolta questa storia, che dapprima era mia e poi si è fatta nostra. Rimani e ascolta piano, non lasciare sfuggire neanche un dettaglio, una sfumatura sottile. Lascia che continui, abbandonati. Questa storia, l’unica che ho buona da raccontarti, si svolge fino a lambire il ramo su cui si posa la civetta, fino a stemperare l’azzurro in un cielo blu notte. Poi viene quel tempo e non resta che fare spazio al ritorno. E quel ritorno ha la forza dei giusti, viene a reclamare quel che é suo e sciogliere questo mio inganno.
Sì, perché la mia è la storia di come abbia cercato gli spiragli per mentire alla realtà e raggiungerti in un bosco che nasconde le distanze, intralcia le ragioni che dovrebbero dissuaderci e graffia furioso ogni motivo di buon senso che provi a superare questa mia testarda difesa. E se con un tratto di penna ho giocato a cancellare la realtà, questo gioco dura un battito d’ali, e poi è già la realtà, tornata a reclamare quel che è suo. A prenderti e portarti al luogo cui appartieni, a regalarti a corredo un tuo destino che non passa da questo bosco.
E se rimango qui, è perché non ho più storie da raccontare, é perché ho perso la capacità di creare boschi millenari, di far sgorgare dalla terra incattivita una fonte che abbeveri ogni nemico della realtà.
L’amore, dicono, è cecità. Io ho la maledizione di vedere queste cose.
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