La cosa curiosa è che hai male non dove c’è qualcosa, qualcosa che puoi rompere o perdere, che può ferirti o sfuggirti. Quel che fa male è lo spazio vuoto. Fa male dove non ci sei tu a riempirlo di un senso.
Puoi, potresti, coltivarci la vertigine di una ringhiera che non c’è, di uno spazio da riempire, da cadere, da partire.
O finire invece per incatenarti a un’illusione, a immagini piatte. E non devi farlo o rimarrai prigioniero di quella mancanza di odori, senza motivi a trascinarti via da quella pausa infinita, da quel continuo far male di ciò che non c’è.
E allora, anche se non é ancora abbastanza, coltiva la vertigine senza farla gioco della mente. Fanne un gioco del corpo, fanne un gioco a Vivere. Che per esser morti ci sarà tempo, poi.