…come questa:
http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/394413/
Che per lei la parola Down fosse soltanto una declinazione dell’esistenza e non una condanna, lo aveva fatto capire molto presto. Era ancora una bambina, sette anni o giù di lì, quando aveva zittito parenti e amici riuniti in salotto: «Io non sono Down, sono Giusi, Giusi Spagnolo». Adesso quella piccoletta con gli occhi azzurri che sprizzano ironia è una dottoressa, insignita dell’alloro alla facoltà di Lettere dell’Ateneo di Palermo con il voto di 105 su 110. Fiori, parenti commossi, festa con amici e colleghi, tutto normale per questa ragazza di 26 anni che è la prima donna Down a laurearsi in Italia. Al maschile solo due i precedenti noti in Europa: quello di Andrea Brambilla, che nel 2005 coronò i suoi studi universitari alla Statale di Milano, e quello dello spagnolo Pablo Pineda, diventato attore, insegnante, maître à penser.
Un traguardo tagliato proprio, e per caso, nella Giornata mondiale delle persone con sindrome di Down, salutato con emozione dall’associazione delle famiglie, seguito con le lacrime da papà Bernardo e da mamma Teresa, ma pure da Maria Pia Caputo, l’insegnante privata che l’ha accompagnata dalla materna alla maturità classica. Quello fu il primo schiaffo alle diffidenze. «Il commissario d’esami – racconta il padre – credeva che mia figlia non fosse neanche capace di tenere la penna in mano. Accorse l’insegnante di Educazione fisica a dire che lei faceva sport come tutti gli altri».
Adesso eccola davanti alla commissione di laurea, a discutere la sua tesi in Beni demoetnoantropologici, a illustrarla con Romina Mancuso, la dottoranda che l’ha seguita, un gioco multimediale ispirato alla favola della capra e dei cavoli di Fedro. «Un supporto didattico multilingue, interattivo e destinato a tutti i bambini, senza differenze», ha spiegato ai professori mentre cliccava sulla tastiera e le immagini scorrevano sullo schermo. Non a caso, questa creazione andrà a una ludoteca nel cuore della Palermo antica, dove Giusi gioca fin dall’infanzia con bambini normodotati e con handicap, sia siciliani che delle comunità straniere.
Ma la dedica della tesi è per la sorella Laura, morta pochi anni fa e sua più cara compagna di vita. Di fratelli ne ha altri due, parte di una famiglia che non ha mai mollato. Il padre docente universitario di Fisica, la madre assistente sociale nel carcere dei minori. Lei, Giusi, non crede affatto che con la laurea abbia chiuso la stagione delle sfide: «Spero di partecipare come tutor a laboratori con i bambini e che questo sia l’inizio di un lavoro che amo moltissimo». Lo dice guardando il padre che se la mangia con gli occhi, lei che è piccola, delicata ma di ferro. «Il segreto – spiega lui, ex presidente nazionale dell’Associazione famiglie persone Down – è non porsi ostacoli preventivi, conoscere a fondo i propri figli, cercare in loro il germe di un talento di un’opportunità, assecondarla in ogni modo. Una ricetta che credo sia valida per tutti i genitori, e non solo per quelli che hanno figli con difficoltà maggiori. In una parola, crederci».
Sono storie bellissime perché ci tolgono ogni scusa, e ci chiedono quindi di essere chi possiamo essere. Senza nascondersi.