Avrei voluto sapere dare forma alla felicità. Una forma in cui la felicità potesse rimanere. E invece ha rotto gli argini ed è
andata via, tornata a rifugiarsi chissà dove, di modo che io debba di nuovo cercarla.
Sai, avevo cucito con la pazienza di un baco da seta un luogo dove potessi vivere, l’avevo difeso irridendo ogni pericolo,
facendo schermo di ogni lama che mi si agitava davanti. Certo della mia invincibilità.
E avevo davvero vinto; te ne stavi lì, tutta quanta in un unico abbraccio, il mio. E aveva gli occhi liberi, con tutti quei
pensieri e quell’Amore dentro.
E poi sei scivolata via, come non potessi più afferrarti e danzare con te. Sei diventata acqua, m’affannavo ed eri già
scivolata fra le dita. Provavo a ricomporre, combattere i percorsi delle tue gocce, il tuo disperderti in cristalli minuscoli.
E poi sei rimasta lì, come un ricordo che si sporca, passa un tipo e sputa per terra, ti macchia e io non posso farci nulla.
Penso a volte a come eri, intera e brillante, un canto d’angelo che in questo mondo quasi stonava, eppure ne era così piena parte, il senso intero di un letto grande o la giustificazione dell’esistenza di una coperta blu.
E io chi ero. Se provo a ballare, ora, sono goffo e sbilanciato. Eppure sono ancora io, armato della stessa solidità, prigioniero degli stessi ideali. Ho il fil di ferro che mi riempie le ossa, mi tiene rigido e non permette che io cada mai, anche quando vorrei riposare un poco.
E chi sono io oggi, chi posso essere.
Per ogni momento vissuto appieno c’è un taglio sottile, da cui le immagini passate ti gridano che è un tradimento costruire la felicità ancora, dimenticandosi i propri morti.
Continuo a nutrire quest’amore di me stesso, come un debito d’onore per ogni carezza di mio Padre. Continuo a lottare per la felicità. Ma volte vorrei solo sedermi a mangiare lo stesso dolore che hanno mangiato le persone che hanno avuto un ruolo nella mia Vita. Un gesto che non offre nulla a nessuno, se non un sacrificio, un capriccio per dire che avrei voluto le cose fossero diverse, se non per me, per gli altri. Avrei voluto poter costruire felicità e regarlarle. Senza questa capacità mi sento inutile.
La Vita è strana. A volte riscopre un po’ di dolcezza proprio tra i rancori più amari.
Per la felicità magari è lo stesso, dico, la prima volta ti ritrovi il cuore traboccante e finisci per sprecarla, ma la volta dopo, quando la conquisti, si fa molta più attenzione. Ed è anche più preziosa, chissà.