E siamo ai deliri. Mi andava di parlucchiare.
E camminando ho visto delle cose. Mi fa piacere vedere le cose, provo ad impararci qualcosa. Mi sforzo di capirle, provo a smontarle e non so rimontarle. Nello smontarle a volte perdo il loro senso, il funzionamento. Un orologio ad esempio ho capito che è meglio se ci leggo l’ora, che se lo apro e prendo i pezzi e sono piccoli e sono tanti e tutti a far l’amore a modo loro poi non funziona più tanto bene, finisce che arrivo tardi dal barbiere e vagli a spiegare che mi si sono sparigliate le ore, che c’ho i minuti sotto al cuscino, i secondi caduti nel lavello a giocare fra i piatti sporchi. Che poi penso che io per intanto cammino, più avanti potrei incontrare a quel crocicchio che mi han detto stare più avanti un vecchio orologiaio che ha lì appuntamento con la figlia. Allora potrei chiedergli non tanto della figlia quanto di come funzionino questi benedetti orologi, della magia dentro che io da me non l’ho capita. Ci vuole anche umiltà. E allora magari gli chiedo se lo incontro, se poi sta lì lui, lui dico l’orologiaio, lì dico al crocicchio. Sempre che stia poi lì: il crocicchio intendo. Vedremo. Io per intanto cammino che se no sto qui col dubbio sul crocicchio, l’orologiaio, gli orologi e non risolvo nulla. E poi diranno abbia buttato la giornata. Dicevo al principio che mi piace camminare. Che ho visto che ti si consuma tutto anche a star fermo: le borracce le svuoti ugualmente, il pane lo spezzi a mezzogiorno ed anche prima ad ingannar l’attesa dell’edera che risale la tua gamba. Allora mi son detto: io vado. Mi sembrava la risposta giusta, e poi debbo dire, provando ancora ad essere umile, che m’è parso di non aver sbagliato affatto. Mi piace camminare. Ho sentito una volta un tale, vecchio non lo direi ma credo neanche più poi così giovane, la barba nervosa, le mani ruvide e consumate; e dicevo di questo tale, che un nome poi l’avrà anche avuto ma non lo conosco. Non mi stare a chiedere perchè non gliel’ho chiesto che mi perdo il filo. Quel che intendevo è che questo tale stava lì a lamentarsi del paesaggio sempre uguale, della figlia dell’orologiaio che non passava mai da lì che poi diceva ad alta voce, che lo sentivi anche non volendo, che era una noia ed i giorni sempre uguali e soluzioni niente per tutto l’orizzonte, che c’aveva cercato nello spazio attorno a lui. Non mi osavo di dirgli che comunque quel suo orizzonte si schiantava senza rallentare sul bosco di larici alla sua destra, che per quanto provasse la vista non sapeva scavalcare la vecchia roccia piovuta lì da chissà dove, che il sentiero vecchio non moriva lì, vicino all’ansa del fiume, è che poi scendeva e se ne andava al paese anche se a vedere da lì non si sarebbe detto. Io dal paese ci arrivavo e avevo preso proprio il sentiero vecchio nel suo ultimo tratto, per poco dico, che poi avevo incontrato questo tale e fra me e me pensavo a queste cose e non sapevo se dirgli che magari poco più in là c’erano anche altre soluzioni. Di quelle con l’odore di muschio, che a me, a dirla tutta, piace anche tanto. Comunque poi chi ero io, che m’avrebbe detto, me l’immagino, che noi che veniamo dal paese pensiamo di sapere. Allora io sono stato zitto e ho proseguito, il tale è rimasto lì. Che poi il crocicchio c’era alla fine, sapete?
Ci sono altre cose da raccontare ma lo faccio poi. Io di mio se vedo l’orologiaio gli dico del tale che chiede della figlia. Che poi sia lei a valutare se fare il giro largo, proprio da lì, fra il boschetto di larici e l’ansa del fiume o firmarne la condanna per pigrizia. Io ce lo dico, poi sta mica a me. Magari poi continuo a dirvi del perchè, non so che farci, mi piacciono le strade. Non credo in fondo di volerci fare niente, percorrerle magari. E la buona compagnia è per strada, lo sento.