February 6, 2010

Riflessi

Torni a casa. La macchina, il ghiaccio, il cielo.

Il cielo di un blu che non è nero ed in fondo neanche blu. Con le luci fuse assieme, un lavoro ben fatto. Lo guardi, come sempre, come un bambino sognante, come un amante con un groppo in gola. E’ sempre lì. Un sussurro appena percepibile, ad avere tempo e spazio in abbondanza, ti ricorda che quel cielo che ami ti ritrovi sempre a guardarlo così da sotto. Ma tanto sotto. E’ un aggrapparti estremo a luci così distanti ed irraggiungibili. E sopraffatto da questo, nel desiderio di mantenere un contatto, ti aggrappi a poche stelle, che un cielo intero non puoi reggerlo. Ti aggrappi a quelle e ci metti dentro sogni, amori, desideri. Come le stelle fossero cassetti. E ci costruisci vite attorno ad uno di quei punti. Un amore, un lavoro. E perdi il senso, perdi te. E quindi ciò che desideravi per te. E allora a volte penso che dovrei guardarlo in cielo, sorridergli. E un giorno sorprendere lui a sbirciare a me, mentre sono così felice, così pieno di fiducia nei sogni che mi porto in tasca e non riposti in cassetti cosmici. Così felice da fare invidiare al suo manto freddo.

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