Sto uscendo ma metto qui quello che ho scritto ieri
E così è passato qualche
giorno dal mio ultimo intervento, giorni teutonici. Da quando lascia
la casa amicale in quel di Losanna, cacciate due magliette ed un paio
di calze mi levai fra i vapori alcolici della serata prima (quanti
giri si era offerto io, Dani e l’americano-tedesco?) e nel farsi
largo del mattino mi dileguai. Come a farmi mangiare dalle orme, ad
abbandonarmi. Rugiada al posto della placenta. Da allora tante ore da
giocarsi. Ho dovuto imparare a gestire dei ritmi diversi, le ore
vuote. Trovo fantastico come l’uomo sia in fondo capace di adattarsi.
Le ore nel parco del castello (lo Schlossgarten), le sigarette.
Camminare per giorni interi. Le vesciche ai piedi. Gli episodi
amplificati da quel contorno che non hanno. Ogni giorno piccole cose
da distribuire con sapienza. Gli eventi difficili, le ansie, saperle
assorbire diventa più difficile quando non hai una vita a
distrarti, un castello di inutilità accumulate in anni. Sei
come un po’ nudo ad inventarti ogni giorno delle piccole routine.
Scrivo oggi, primo settembre, nella mia stanza di ostello e spero di
pubblicare domani, due settembre, quando dovrei essere nella stanza
dello studentato Hadiko dove restare per un mese. Tutto in attesa di
quel sei settembre in cui si deciderà se potrò rimanere
o vagolare nell’incerto. In questi momenti mi manca la mia macchina.
L’andarmene. Lo scivolarmene per le strade, indipendente da stupidi
mezzi di trasporto di massa. Crearmi i miei itinerari insensati. Nel
parco, nelle passeggiate, in realtà penso poco, mi calo al
massimo in minuzie quotidiane. In un paio di calze da comprare. Se
penso è ciò che ho dato per scontato, ad esempio
Claudio, e mi critico un po’. A volte mi interrogo sul come e dove
possiamo essere felici. Io qui per certi versi lo sono, il senso di
vacanza, la gente incontrata, anche un po’ il brivido della liberante
incertezza. Io qui però sono in Erasmia, dentro una parentesi
di vita e non c’è niente di vero. Sono una pausa nella quale
posso divertirmi, imparare, cambiare, sfidarmi. E forse capire nei
momenti che avanzano dalle precedenti attività qual’è
la soluzione di un rebus di vite consunte e date per scontate, quel
sapore di quinta fetta di meringata, e il nuovo in cui ogni giorno
inventiamo un’amicizia che si scioglierà nei saluti di fine
serata. Non lo so, ma come dicevo a Brandy credo che ogni soluzione
vada trovata a partire dal ricostruire i rapporti con le persone.
Sono convinto che il fulcro di tutto stia poi semplicemente lì,
lontano da questa galassia di individualità esplose.
Tra i larici e le betulle, su un sentiero silenzioso a mezza costa della montagna, pensai alle stesse cose. Forse perchè, in quel momento, finalmente mi trovavo solo, lontano da tutti, a fare i conti di un (quasi) trentennio di vita. E alla fine, sì, sembrava che le cime degli alberi mormorassero qualcosa di sensato, di vero…