Non sapevo come iniziare, come riprendere il discorso; non trovavo le parole e quindi
dapprima tacqui. Mi sedetti sulla panchina a fianco della tua, un paio di metri a separarle. Mi rifuggiaia in quelle prime norme d’educazione che m’avevi donato e trovai di conseguenza le prime parole che furono: “Come stai?”. “Bene” risposi, “e tu? Ti trovo invecchiato”.
Non me l’aspettavo, lo ammetto per cui mi ci volle un poco per controbattere “senti un po’… sono passati vent’anni e lo sai che il tempo sa fare un lavoro paziente, continuo. Ti mordicchia con pazienza, chi può farci nulla. E comunque anche tu sai, non mi sembri un fiore”. Ma tu avevi la risposta pronta “considerata la mia situazione credo di stare molto bene, tu invece hai la faccia di uno che si è alzato male”. Il dialogo iniziava a scorrere e questa pausa fu meno lunga delle precedenti “è ovvio, il mattino mi da sempre una brutta sensazione; è un tempo cieco, incerto. Non si muove e l’aria pesante ti pesa sulle spalle”. “E tu ti rifugi in ore che ti fissano meno negli occhi, in notti che si disinteressano di te, che non ti interrogano come il mattino per sapere che cosa vuoi farne del nuovo giorno. Rifletti.”. La mia replica si fece serrata: “Ho concentrato anche troppe riflessioni, ho visto a lungo il mio viso ed il tuo nello specchiarsi mio e di nuvole rosate in laghi dal fondale verde o su specchiere di stazioni abbandonate. Ho riflettuto troppo e corrotto gli oggetti intorno a me costringendoli a farlo. Ho accompagnato gesti con mazzi di pensieri e tutto ne è stato rallentato, e se tu credi che non sapessi trovare un obiettivo ad ogni nuovo giorno tu allora, sono certo, stai rinunciando di proposito a vedere ciò che non puoi ignorare, che fosse di ogni risveglio e confermato di minuto in minuto il proposito di giungere al qui ed ora, a queste panchine. Il precipitarmi determinato a questo incontro. Ma ho voluto fare il giro lungo e non so perchè”. “Perchè, in fondo, anche se non saprai perdonartelo mai, hai voluto vivere prima di venire da questo vecchio. Sei un giovane stanco che ha voluto trascinarsi per quelle vie, come il ragazzo che si fa mandare a prendere il latte e passa prima dal parco a trovare gli amici e con strazio li fissa sapendo di potersi concedere un saluto veloce, passa e va.
E’ inevitabile quel tuo volere” “Odio le cose inevitabili” dissi mentre lacrime bussavano ai miei occhi, pensando forse di trovare aperti quei cancelli che erano serrati. Sapesti tacere per quell’attimo che mi serviva prima di chiedermi “e la zia? La vai a trovare?” “Si” risposi sperando di essere sincero, d’infondere realtà nelle mie menzogne “ci sono stato l’altro giorno. La rivista era sullo scrittoio, aperta dove aveva interrotto la lettura ma lei dormiva. Credo stesse sognando, era rivolta alla finestra e credo sia la prima cosa che avrà visto al suo risveglio. Ho lasciato i cioccolatini alla signora che la guarda e ho scritto un biglietto”. “Che fra l’altro era penoso” mi interrompetti con gentilezza. “Mi sento tanto in colpa, così fallibile” confessai. “Desideri senza saperlo fare, ti arrabatti con ciò che hai. Pensieri confusi, sensi di colpa ereditati, cattive interpretazioni di consuetudini desuete.
Stai facendo un gran casino, seppellendo la semplicità di scelte facili, chiare e luminose sotto a cumuli di pensieri e soprattutto di paure. Se lasci che riemergano vedrai che tutto sarà d’improvviso lampante. Basta capire, vedere, ciò che conta” e ripresi subito “come oggi. Tu desideri ancora quelle vie e ti servirà ancora tempo per capire che farne; tu va, impara, sappi cercare”. “E tu mi aspetterai qui?” chiesi tentennante. “No” fu la risposta, decisa ma non cattiva. “Io lo sapevo ma volevo chiedertelo”. “Non ti preoccupare, ti voglio bene. Ora va”. “Ci provo”, furono le mie ultime parole prima di alzarmi da quella stupida panchina.
…Ci sono certe panchine che non dicono nulla, che è peggio….di questo cielo confuso!..sì, dai, è la mezza stagione..confusa…che non mi fa sentire sola!!…
:)