Capita che la malinconia bussi. E dopo aver letto tanto quest’oggi mi creo un piccolo spazio, scrivendolo. Mi nascondo lì, sotto la neve.
La neve si accumula e, con lavoro lento, sovrappensiero, imbianca la strada. Inutile lo si direbbe, presto verrà pulita. Eppure la neve non se ne cura; non se n’è curata la scorsa volta, non se ne curerà la prossima. Quello che mi fa pensare è quanto grande sia l’estensione di questo manto che dapprima leggero si fa tanto greve da incurvare i rami del pino che troneggia su quel certo parco. La neve copre paziente ogni singola panchina. E con essa ogni singolo ricordo, ogni sigaretta chiesta a prestito, ogni sogno sgusciato via da pomeriggi annoiati, ogni discussione sugli improbabili modi per affrontare un determinato problema. I baci. E poi via via continua a cadere e, complice il buio indifferente, nasconde i sensi di colpa, i dolori cronici sedimentati in fondo al cuore. E’ forse questo crescere: accettare dolori per avvenimenti su cui non avevi il controllo, il dolore che si è dato quando si sarebbe voluto dare solo gioia e non si riusciva. E’ accettare che tutto questo potrà accadere ancora domani, come una nevicata notturna che a febbraio arriva di soppiatto, mentre la gente non ci fa caso, rintanata in casa. Potrà arrivare altro dolore, eppure, come ogni nevicata, bisognerà saperla affrontare ed affrontare ciò che la neve rivelerà, quando stanca delle vicissitudini umane, se ne tornerà da dove è venuta, per tornare a cadere al primo accenno di nostalgia.