August 21, 2010

Viaggio

E quindi poi sono partito.

La sera prima la cena a casa di Miriam, con Daniele sul ciglio di malattie sconosciute. Miriam che prepara una macedonia artistica scolpendo un melone.

E poi, salutato il degente, via con Miriam, Claudio e Marina a bere il liquore che mi aveva regalato Mojca. Ci raggiungono una delle sorelle di Claudio ed una di lei amica, nata a Karlsruhe: le coincidenze.

Uno sguardo colpevole all’orologio, la testa leggera per il liquore (buonerrimo): è tardi, via a dormire.

E mi alzo con i chilometri da fare. Sono ai limiti del primo tagliando. Alla fine avrò sforato di tremila chilometri.

E allora via verso Freiburg. E se parti una domenica d’agosto le code te le cerchi. Al confine con la Svizzera, all’ingresso del Gottardo, i lavori sulle autostrade tedesche. Arrivo a reception già chiusa, le chiavi lasciate lì ad aspettarmi.

L’albergo è bello e Freiburg bellissima. Mi accorgo solo dopo un po’ che ci vago di esserci già stato.

Una gita Erasmus. Lì con Diogo, Mojca, Daniel… e tanti altri volti. Alcuni iniziano a sparire. Altri ricordi rimangono sotto-traccia, recuperabili.

Ed immergo la mano in uno dei canali che rinfrescano le vie. La leggenda vuole che chi si bagni in quelle acque sia destinato a tornare, alcuni sostengono addirittura a sposare una ragazza del posto. Chissà.

La notte penso agli spostamenti successivi; l’incombenza di dover chiudere il conto alla Deutsche Bank di Karlsruhe. Inutilizzato ormai da un anno, un dovere rimandato a lungo. E no, non ho voglia alcuna di tornare a Karlsruhe. E’ una scelta fatta, è un tessuto prima cucito e poi lacerato. La notte dormo poco, provo a programmare il futuro. E mi preoccupo come uno sciocco. Poi guardo Freiburg e le sue luci, lì dall’alto di quell’albergo sulla collina. E’ bellissima Freiburg. Il cuore ha altro a cui pensare. Dove c’è tanta bellezza il resto tace.

Il giorno dopo alla reception mi dicono che non c’è posto per rimanere ancora e quindi via. Prenoto al volo un alberghetto nella Sudstadt di Karlsruhe.

Tornare a Karlsruhe significa tante cose. La prima è parcheggiare e percorrere quelle vie che conosci a menadito, entrare in banca, scontrarsi con differenze culturali, chiudere il conto ed uscire. E fuori dalla banca ti aspettano ricordi e sensazioni appoggiate lì, contro i muri, fra le vie, dentro i negozi, come a proteggersi dallo sguardo. Vite differenti tutte vissute a Karlsruhe: quel primo periodo da solo, l’incontro con gli Erasmus, la vita di studente alla Karlsruhe Universitat, la visita di Giulia e barbara a gennaio. Il fare la spola fra Italia e Germania. Il ritornare a svuotare la mia amata stinky room.

All’inizio, lo ammetto, sono i vantaggio loro, i fantasmi.

E, ma poi arriva la mia risposta. Cammino, cammino e cammino. Non so fare altro a Karlsruhe. Come quei primi giorni e le piaghe ai piedi. Cammino e riscopro angoli di Karlsruhe amati i primi giorni e poi dimenticati mentre spostavo il baricentro della mia esistenza verso lo studentato e l’università. Riscopro l’amore per quei posti, per Thalia, il negozio di libri che ci sognano in Italia. Per Kaiserstrasse, la folla, i tram. Incontro anche vecchi amici, lì per strada. Alla fine rimane l’amore per questa città che mi ha dato molto, in cui ho investito me stesso. In altre parole ho fatto la pace con Karlsruhe e me ne sono andato con la voglia di tornare. Con la consapevolezza di aver vissuto questa città e che questo non possa né voglia cancellarlo.

E poi via verso i Paesi Bassi.

Giorni sereni lì con Luca, in quel paesino da cartolina, giusto alle porte di Delft (lovely Delft!). C’è tanta birra e chiacchiere con un amico che conosco da tanti anni e che si è costruito una vita lassù. Bello.

E poi torni al sedile. Ti svegli, dai un passaggio a Luca e poco dopo sei in autostrada, a lottare con la follia della viabilità nederlandese.

A volte pensi che cosa faresti se, semplicemente, avessi un problema alla macchina, lì da qualche parte. Che numero chiameresti? Come ti comporteresti? Come pagheresti le riparazioni? Senti che proprio non vorresti essere in quella situazione. D’altra parte sai che sopravviveresti. Tutto, prima o poi, si ridurrebbe ad un altro aneddoto.

Correndo sull’autostrada penso alla vita in prospettiva. A quanto le cose vicine sembrino più grandi di quel che sono e quasi inesistenti quelle lontane. A vederle tutte mi sento ricco. Una collezione di cocci multicolore.

Penso che il bene che riceviamo sia eterno. Lo puoi riguardare e magari capire a posteriori. Il male che riceviamo invece va sconfitto. Ci vuole lavoro. E poi se lo si lascia alle spalle, se se ne ha la forza, come non fosse mai esistito.

Credo che ognuno abbia un modo diverso di viaggiare. Per me è semplicemente non esser fermi, essere senza luogo. Qualsiasi luogo in cui ti fermi diventa prima o poi in parte casa, noto. Ne fai parte. Se ti muovi invece sei avulso da tutto, puoi vederti meglio. In questo senso mi importa in realtà molto, molto poco di dove vado.  Viaggiare è un modo per poter pensare e vale sia per i pomeriggi a lasciar andare l’auto dove gli pare per le valli ed i paesi innominati del torinese, sia che ci si trovi dalle parti della Foresta Nera o in un paesino della Kikkerland.

E quindi sono andato, sono stato bene, ho bevuto e rivisto amici. Ho pensato, e sono tornato.

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