April 20, 2013

Storie di viandanti

C’è un fatto che si ripete, di locanda in locanda, indipendentemente dal paese che ti trovi a percorrere. Quando la sera i piedi riescono a portarti sulla soglia di uno di questi ostelli che sorgono lungo la via e, spazzatoti dai vestiti il grosso della polvere, entri, capita più spesso che non altrimenti di scorgere uno o più viandanti. Dopo esserti schiarito la gola con una o due birre immancabilmente ci si ritrova a discutere di ciò che ci accomuna: la strada.

Ognuno, con i modi del proprio carattere, descrive il percorso fatto, svuota il suo sacco di storie, non sapendo quando avrà ancora modo di parlare. Gli altri ascoltano, raccogliendo informazioni che potrebbero tornare loro utili e aspettando il momento in cui potranno fare altrettanto.

Quando capita che due viaggiatori provengano dalla stessa direzione è assai difficile che i loro racconti coincidano. Chi ti parlerà di una sequenza di valli lunghe e strette, chi di cime che si snodano oltre i villaggi, chi infine di cento e più ore di cammino fra boschi di faggi altissimi. Eppure tutti, dallo stesso medesimo punto di partenza hanno raggiunto quella locanda, nella stessa stagione, tutti a piedi. E se ti capita di reincontrare lo stesso viaggiatore in un’altra locanda, in un altro paese dai costumi diversi, non lo riconoscerai dai vestiti, logori allo stesso modo di mille altri, ma dai racconti. Chi raccontava di valli strette ha continuato a incontrarne. Chi si lamentava del percorso interminabile lungo i boschi te ne descriverà dieci nuove varietà, che ha attraversato negli ultimi mesi.

Un viaggiatore inesperto quando nota questo fatto si pone la domanda più semplice: perché? Cos’è che porta l’uno ad attraversare i boschi che l’altro non trova sul suo cammino?

È la natura del viaggiatore che lo porta a ripercorrere lo stesso tipo di percorso, i suoi piedi a guidarlo su strade che già conoscono, prima ancora di averle calpestate. Così l’uno darà peso maggiore al contadino che lo consiglia di attraversare i picchi, di prendere il sentiero scosceso che costeggia il dirupo. L’altro non si fiderà del pastore che gli garantisce che il bosco non sia abitato da briganti, il viaggiatore spilungone invece seguirà invariabilmente le luci della valle. Così ognuno continua ad essere attratto su nuove strade, che ricalcano quelle percorse in precedenza.

Questa è la condanna del viaggiatore: dover raccontare sempre storie simili fra loro, doversi sedere e sentire dire di mirabolanti villaggi dai sentieri d’oro, che sorgevano poco più in là e non essere destinati a trovarli.

Io di mio colleziono storie di strade di montagne, soffro il fatto che di lassù mi capiti di rado di incontrare altri uomini. Così a poco a poco ho seminato le parole lungo la strada, le ho smarrite. Quelle poche che porto in bisaccia si sono scolorite.

Eppure, se le ritrovassi, racconterei questa storia: di come pochi giorni addietro abbia leggermente deviato dal mio percorso e sia sceso di quota, per cercare una fonte. Non la trovai ma mentre riposavo su una pietra scorsi un lupo. E, con mia meraviglia, mi accorsi che smarrite le parole avevo guadagnato la capacità di comprendere quell’animale. Ci guardammo a lungo, ci studiammo, noi, appartenenti a due mondi che credevamo senza punti di contatto. Non so quanto tempo passò, so solo che poi prese a piovere, sempre più forte e quel lupo sembrava luccicare. Mi spiegò, col suo modo di gesti e pensieri lentissimi, cosa sia la pioggia per un lupo. Non ci sono parole per riportarvelo, ma il suo sguardo era quello di chi ama qualcosa di ineluttabile, e comprende come sia parte di un ciclo perfetto, anche quando lui non può comprenderlo. Un lupo pare avere una fiducia infinita, e dove non arriva la fiducia arriva il senso del dovere. Gli chiesi dove fosse il suo branco. Mi disse di essere l’ultimo rimasto. Sembra triste, ma di una tristezza che fa parte dell’ordine delle cose, come la pioggia. Una tristezza per cui non c’era un riparo. Ci si sedeva, sapendo che avrebbe continuato a piovere, e poi avrebbe smesso, e poi avrebbe ripreso. E avrebbe continuato ad avere fiducia nella pioggia e in quel branco di cui era rimasto l’ultimo. Perché portava i colori di suo padre e aveva l’andatura snella di un capobranco che aveva comandato più di centro lune prima. E certe eredità si ha il dovere di portarle in giro con orgoglio, qualsiasi cosa capiti o non capiti, chiunque si incontri o non si incontri, si perda e non si ritrovi. Ci sono giorni in cui piove e giorni in cui non piove, ma non ci sono giorni in cui si possa non essere un Lupo o dimenticare l’origine del proprio manto. Allo stesso modo come per un viandante, un vero viandante, non ci siano giorni buoni per non camminare, fossero anche pochi passi.

Perciò io mi perdo e poi ricomincio, ancora. Perché sono fatto a questo modo e perché questo è il mio dovere.

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