May 13, 2012

En Madrid

Ho pensato che ho briciole di cuore cadute qua e là: lungo le sponde del Manzanarre, nei pressi dei 25 anni, sui resti di un concerto. È strano ritrovarne e pensare alla strada fatta nel frattempo. Ancora più strano è pensare alla strada che rimane ancora da fare, a quanto manchi al mio traguardo.

 

Madrid non mi ha fatto più impressione. È solo che ci sono gli angoli, che conosci prima di svoltarli, le piccole cose che ti hanno colpito, un tempo, e che ora tintinnano di piccoli ricordi, di pomeriggi, sorrisi. Ho le spiegazioni di Giovanna che mi sono rimaste impigliate dietro le orecchie, come piccoli sonagli.

 

Madrid, vuol dire oggi per me meno fantasmi. È più il modo di inclinare la testa di Giovanna, nelle foto. È il suo sorriso, l’accento veneto con aggressioni marchigiane. È il concerto di Dorian Bregovic, è la Cerveza mini (che è un litro), è la Cana, è la ricerca di un’Estrella, le discussioni con un buttafuori, lo spagnolo inventato, contrattato a parole mozzicate, a spunti ingiuriosi. È il boccadilllo di calamari. Oggi è soprattutto Malasanha, ma è anche Lavapies. È meno Gran Via, è il parco del Retiro, ma in modo diverso: da utente che si prende due ore di riposo.

 

Ci sono pensioni che hanno il riscaldamento, unico vanto. E lo accendono con 38° gradi Celsius: li puoi contare goccia per goccia di sudore. Tic tac. È rumore nel mattino caldo, è frittura, sono bambini che gridano, ospiti che sbagliano camera, docce occupate.

 

Ci sono i kilt e le giacche dubbie, raccolti per strada. Ci sono i tamburi, i bottelon, i cinesi di Cerveza-Cerveza al posto dei cingalesi e delle loro rose. Che tanto gli spagnoli, il romanticismo non l’hanno capito. Sulla metro di Madrid non si cede il posto alle signorine, sono danze di sopracciglia, sono dubbi, incomprensioni. Poi incontri Stefania, incontri Romina. Due volte. C’è Marina che vive qui da sei anni, Claudio (un altro Claudio) che ha l’aereo presto, molto presto.

 

Alla fine, Antonio mi è sembrato contento, e di molto.

 

Madrid è strana, arrivi che non sai che vai buscando, torni e comunque sono state ore buone. No?

 

Niente, davvero niente per cui essere indegnados.

 

Poi parto da Atocha. Prendo un treno in Spagna, dodici anni dopo l’estate del 2000 e i tempi della maledetta reserva, delle attese di giorni, a Valencia, ma la Valencia vecchia, altro che gran premi, altro che coppa America. E ci sono i controlli ora, dopo le bombe sui sedili di chi tornava a casa, con un treno regionale. C’è una stanza nella stazione di Atocha: è una stanza del silenzio, in ricordi di quel goffo fragore, a farsi largo fra la vita di centinaia di persone che mica lo sapevano. Mi piace pensare che tutti i discorsi di chi tornava a casa quel giorno si siano rifugiati in quella stanza, per continuare indisturbati. Riprendere quel filo.

 

E allora continuerò a bere Estrella, a correre in questo deserto, dove non c’è abbastanza Algave e i suoi fiori alti. Proverò a sopravvivere a Ciudad Real, sebbene senza Tequila e Mezcal a parte (se capite cosa intendo).

 

Perché poi ho rientri. Buoni rientri.

 

E Claudio, che ti avventuri nel mio club di uomini più vintage che bambini, ventenni in modo diverso. Ecco, mi farà bene un po’ di compagna.

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